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Certo, tutto è migliorabile, perfettibile. Ma non ci sono dubbi neanche che il bilancio della prima edizione del MYArt Film Festival sia più che positivo, non solo per il numero di film ricevuti e proiettati in tre giorni, ma anche per qualità dei lavori cinematografici giudicati e premiati.
Dunque: siamo soddisfatti.
Gli oltre 50 film, tra documentari e cortometraggi (30 in concorso e 20 fuori concorso) inseriti nella manifestazione – che, lo ricordiamo, è stata promossa dall’associazione la Kasbah e organizzata dalla Lago Film – sono stati capaci di accendere i riflettori «su temi sui quali la luce deve essere perennemente accesa», come ha dichiarato Daniela Di Capua, nel suo messaggio di apertura del festival.
Un auspicio, quello della direttrice del Servizio Centrale del Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati che ha sostenuto la manifestazione con l’istituzione del premio Sprar destinato al miglior documentario in concorso, che perciò ci pare confermato. Perché, è vero: «il cinema consente di coinvolgere tante donne e tanti uomini con immagini, emozioni e pensieri che sanno utilizzare una forma d’arte per avvicinare sempre più alla concretezza della realtà».
Un bilancio positivo, secondo noi, espresso anche dalla giuria del festival che con i film premiati, oltre alla qualità tecnica, ha voluto focalizzare l’attenzione sulle visioni alternative alla rappresentazione dominante del fenomeno migratorio tesa ad appiattire una realtà complessa. Tutti i film premiati offrono infatti quella «narrazione alternativa, che ci mette in risonanza con le storie delle singole vite umane», come ha detto il direttore dell’Ufficio Migrantes di Cosenza, Pino Fabiano, consegnato i premi conferiti al miglior cortometraggio e al miglior documentario breve.
Per questo il miglior documentario del MYArt è stato individuato in “The black sheep”, di Antonio Martino: «Per avere saputo raccontare la presa di coscienza di un giovane uomo che non accetta passivamente il credo religioso a senso unico, in una società, quella della Libia di oggi, lacerata da una guerra civile e geopolitica – è scritto nella motivazione -. Un racconto dove lo sguardo dell’autore si fa testimone e coscienza del protagonista, per seguirlo fino alla sofferta scelta di una “nuova terra promessa” dove potrà esprimere liberamente la propria identità. Concentrandosi sulla libertà di espressione, di religione e dei diritti umani, questo film ci ricorda la forza, la necessità e l’urgenza del fare documentario».
Il miglior cortometraggio, “The Dead Sea” di Stuart Gatt, è stato scelto perché, con grande forza espressiva, «parla di una storia poco raccontata: la detenzione forzata nelle carceri libiche. Una regia che mostra la violenza con eleganza, grazie anche ad attori straordinari. Una storia – hanno detto i giurati – che restituisce il dramma di una brutale realtà, quella dei migranti del mediterraneo costretti a essere testimoni di un’umanità perduta».
Il potentissimo “Loza”, di Jean-Sébastien Desbordes, si è confermato uno dei migliori documentari in circolazione (e per questo ha vinto la sezione “short doc”). «Per averci restituito il coraggio e la determinazione di chi quotidianamente combatte muri e pregiudizi sfidando leggi disumane e ingiuste, a rischio della propria libertà. Per aver messo in luce il dramma delle frontiere e restituito, attraverso l’abbraccio ritrovato di una madre con la propria figlia, la bellezza di un’umanità senza confini. Un invito a restare umani» è scritto nella motivazione del premio Migrantes.
Ma la mole di lavori in concorso ha convinto la giuria della necessità di istituire anche delle menzioni speciali per dare la possibilità al festival di restituire la visione più articolata di un fenomeno multiforme da richiedere un molteplice posizionamento dello sguardo.
Il premio speciale della giuria, nella sezione documentario, è andato a “Castro” di Paolo Civati, «perché in un microcosmo complesso e in divenire (in una casa occupata, a Roma, che è diventata un rifugio per gli esclusi, una casa per tanti ma di nessuno), il regista racconta con profondità e leggerezza le fatiche di chi aspira ad una vita migliore, conducendo noi spettatori in una vera e propria partitura corale per volti, pensieri e azioni degli abitanti di un palazzo occupato, facendoci partecipi di quell’umanità , di quel mondo».
Una menzione speciale è andata anche al documentario “The Ramadan Cannon of Jerusalem”di Atta Awisat e Nimrod Shanit «perché – ha detto la giuria – la firma congiunta di un regista palestinese e di uno israeliano che attraverso l’ostinazione di un attore popolare palestinese, ci restituisce una necessità: che sia proprio l’arte ad offrire la speranza di una soluzione al lungo conflitto arabo-israeliano».
Menzione speciale, infine, al cortometraggio “Lost Exile” di Fisnik Maxhuni («Un “on the road” dal sapore amaro mostra cosa succede sulle rotte dei migranti che sono ancora poco attenzionate dai media nel quale una regia curata con tempi da lungometraggio, che si sviluppa in una storia di redenzione fatta di sguardi e silenzi») e al documentario breve “Maxamba” di Susanna Barnard e Sofia Borges («per aver ricordato che il cinema è anche un argine all’oblio. Per averci confermato che “i luoghi hanno memoria e ricordano tutto”, e che la memoria dei luoghi è parte integrante dell’identità degli uomini».
Completano il successo della manifestazione gli eventi speciali, apprezzati dal pubblico: dal conferimento del Premio Mario Gallo 2017 da parte della Cineteca della Calabria al documentarista Gianfranco Pannone (presidente di giura del MYArt) alla “finestra sul cinema curdo” aperta con la testimonianza di due esponenti, direttori di festival di cinema curdo – Hevi Dilara e Ilham Bakir, a ricordarci la situazione che vive un popolo criminalizzato, anche nelle sue forme artistiche (cinema, scuole, teatri che vengono chiusi): anche mostrare con una telecamera la realtà è considerato un atto di terrorismo.
A consegnare le statuette – realizzate da un giovane artista palestinese che vive e lavora in Calabria – sono stati alcuni rifugiati politici che hanno avuto la possibilità di farsi una vita a Cosenza e di diventare mediatori a supporto dei nuovi arrivati: una testimonianza di accoglienza e integrazione che lo Sprar ha reso modello italiano apprezzato in tutta Europa.
Il nostro grazie va alla giuria, costituita da Gianfranco Pannone, Mario Mazzarotto, Fabio Mollo, Giuseppe Scarpelli, Giancarlo Lancioni, Emanuele Milasi, Emiliano Barbucci, Jessica Resteghini.
Grazie alla Calabria Film Commission, e a tutti quelli che hanno collaborato al successo di questa prima edizione.
E grazie a tutti quelli che hanno saputo approfittare dell’opportunità di avere un po’ di cinema internazionale in Calabria.
Lo staff del MYArt Film Festival